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È così vasta la zona d’ombra dove ci nascondiamo a noi stessi da impedire una qualunque grossolana definizione della nostra identità. Chi ha familiarità con questa zona d’ombra sa che per superarla deve compiere un lungo, difficile e a volte doloroso viaggio nella memoria. Ogni uomo trova nel proprio passato immagini che tanto più sorprendono quanto più rivelano la natura fonda delle cose e delle persone; dipanano questa zona grigia che tutti attraversiamo, che le parole non sanno dire ma che la fotografia sa ben rappresentare; spiegano che cosa uno è e come lo è diventato. Tuttavia, il passato non è qualcosa di inerte e il nostro viaggio diviene un gioco di specchi dove si mischiano, in maniera ora familiare ora inquietante, briciole di coscienza e di memoria, di amori e disamori, di realtà e immaginazione. Come se gli istanti che soli ricordiamo e dai quali ricostruiamo i mesi, i giorni e gli anni della nostra vita, appaiano capricciosi, un po’ qua e un po’ là. Mai in maniera diacronica ma secondo i tempi imprevedibili della memoria involontaria. Alcuni ritornano, rassicuranti. Altri ci portano chissà dove, negli altrove che abbiamo abitato e vissuto. Sono i tasselli di un puzzle sempre diverso che è il nostro presente, il problema è metterli insieme… dopo. I ricordi cambiano, quindi, come noi cambiamo e ci tradiscono o, a volte, li tradiamo. Siamo avviluppati al chi eravamo in una spirale che spiega e interpreta il mondo in cui siamo e che, a fine giro, alimenta di nuovo la memoria che ci portiamo dentro: lo ieri da cui proveniamo. Lo arricchisce, a volte addirittura ricostruendolo. […] (Franco Carlisi)