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“Il 13 novembre del 2015 dalle ore 21:20 Parigi è sotto attacco. Un attacco che la porta al centro della cronaca mondiale ancora una volta.
La catapulta nella storia con 258 minuti di terrore e un bilancio di 130 morti. Non penseresti mai che, andando ad assistere ad un concerto, la tua vita possa cambiare, nel caso fortuito in cui tu possa dire di averne ancora una. Non crederesti mai che, in una notte di autunno uguale a tante altre, la vita di 130 persone, di una città, di una nazione, di un continente, di tutto il mondo, possa cambiare per sempre”.
258 minuti, poco più di quattro ore, cui aggiungere un anno di riflessione e di preparazione per un lavoro dalle sfaccettature diverse, che si presenta sottoforma di diario personale dell’autore. Lo scopo di Angelo Ferrillo non è rinvenire ostinatamente tracce dell’accadimento trascorso, bensì attuare lucidamente e attraverso la narrazione fotografica, un intervento diretto che ha a che fare con la memoria.
Una memoria contraria alla museificazione dei contesti e più vicina alla sperimentazione, qui intesa come vissuto legato all’esperienza, alla reinterpretazione dei luoghi e di specifiche dimensioni spazio-temporali, che diventano l’habitat ideale per dare inizio al racconto. Al centro della storia, due elementi che l’autore individua e mette in evidenza: distanza e vicinanza.
Nelle fotografie di 258MINUTES, l’autore rappresenta atmosfere in cui il distacco è quasi palpabile, il suo atteggiamento appare neutrale e, al contempo, è possibile percepire l’affondo che egli compie in una realtà inaspettatamente carica di simboli di evidente normalità. Non c’è traccia di spettacolarizzazione, non esiste alcuna enfasi rivolta ad eventuali momenti di commemorazione. Non è un giorno uguale agli altri eppure tutto sembra essere uguale all’ordinaria quotidianità di un momento qualunque.
Quello che Angelo Ferrillo ha fatto è stato ritrovare Parigi un anno dopo e come un pellegrino tornare nei luoghi e mostrare attraverso le sue fotografie nette e apparentemente prive di pathos emotivo la normalità ritrovata e la volontà di una città e del suo popolo di ristabilire l’ordine e “anestetizzare” il dolore con la ritrovata normalità. Ma evidentemente non è possibile. Le nostre menti sovrappongono a queste immagini le immagini gravate nella memoria di quegli stessi luoghi preda della paura e della concitazione di quei momenti fatali.