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“Tutta la mia famiglia, la cui immagine vedo invertita nel vetro smerigliato, un giorno morirà. Questa macchina fotografica, che riflette e congela le loro immagini, è in realtà un dispositivo che archivia la morte”.
Masahisa Fukase
Tra il 1971 e il 1989, spinto da un profondo tormento esistenziale, Fukase torna periodicamente al suo paese natale, dove la sua famiglia conduce un piccolo studio fotografico. E’ questo il periodo in cui il fotografo esplora la fonte della sua creatività, ritraendo ossessivamente le persone che lo circondano e che ama. Nasce così Family, che inizia come una parodia spensierata del classico album di famiglia, per poi diventare la narrazione della fine dello studio fotografico, della morte del padre di Fukase, di una famiglia che si disperderà, del termine di un’era durata quasi ottant’anni.
Lo spettatore avverte intimamente la disintegrazione del padre dell’autore, dello studio fotografico e di tutta la famiglia, ma prende anche coscienza della strana, a volte anche macabra facilità con cui il fotografo ci accompagna avanti e indietro nel tempo con queste immagini, che sono l’unica cosa che rimane adesso che anche lui, l’artefice, è scomparso.